La coltivazione della canapa nella terra è generalmente considerata una coltura da esperti: non c’è nulla di innaturale nel far crescere questa pianta nel suolo, ma se si cerca una tecnica da sviluppare al chiuso e soprattutto semplice, non è probabilmente il metodo più adatto.
Quali sono i tipici problemi associati al terriccio? Diciamo innanzitutto che si tratta di una questione di equilibri: trovare il giusto rapporto tra nutrienti, ossigeno e acqua. Nonostante i numerosi progressi tecnologici, la coltivazione in terra non è ancora considerata la scelta migliore per la canapa. Come accennato, solo un coltivatore esperto può evitare alcuni frequentissimi problemi che si verificano nella crescita della pianta, soprattutto nella determinazione della quantità di fertilizzante e di dosaggio dell’acqua che va misurata giorno per giorno, e sono errori cui è difficile rimediare.
Chi si approccia per la prima volta alla coltivazione della canapa si scoraggia per i risultati iniziali ma i professionisti hanno elaborato alcune strategie più o meno accessibili per ovviare alla maggior parte dei problemi. La prima soluzione individuata consiste nel dotarsi di complesse (e costose) macchine in grado di monitorare continuamente i livelli e i valori del compost, dell’aria e del vegetale: come si intuisce si tratta tuttavia di una scelta inaccessibile alla maggior parte dei coltivatori.
Canapa e idroponica: la soluzione
La seconda semplificazione prevede invece il ricorso alla tecnica dell’idroponica, che rappresenta virtualmente la scelta migliore e suscita molta curiosità soprattutto nelle cause del suo successo. La prima domanda a sorgere di solito è la seguente: “Come mai una eccessiva innaffiatura del terreno è frequente causa di morte della pianta, mentre la coltivazione in acqua risulta così favorevole al benessere e alla vitalità della stessa?”
La risposta è più immediata di ciò che ci si aspetta, se si considera che nell’idroponica non tutte le radici sono immerse nell’acqua e che in particolare le radici secondarie (quelle coperte dalle importantissime setole radicali) sono quasi del tutto esposte al passaggio dell’aria. Queste minuscole radici raccolgono tutto l’ossigeno che la pianta utilizza per sopravvivere e in una idrocoltura ben progettata le radici non restano mai senza ossigeno. Nel terreno invece può capitare che le setole rimangano isolate dall’aria perchè la terra è troppo pressata o perchè rimangono soffocate da una innaffiatura abbondante.
Per quanto concerne la somministrazione bilanciata di acqua e sostanze nutritive, gli scienziati hanno da tempo individuato gli elementi necessari ad un abbondante raccolto ed è stato sufficiente renderli solubili per preparare semplici ed efficienti fertilizzanti. Ogni etichetta infatti riporta il dosaggio necessario, a prova di errore: non c’è bisogno di andare per tentativi, è tutto già pronto e non si corre il rischio di privare la pianta di elementi fondamentali per la sua vita. Inoltre spesso questi fertilizzanti contengono tali nutrimento in misura superiore all’effettivo fabbisogno, compensando esigenze e casi specifici.
Un’altra domanda interessante è “Come mai la pianta in idrocoltura si sviluppa grazie a nutrienti inorganici, mentre in una buona coltivazione di terra si nutre in maniera organica?”. Bisogna comprendere che in natura la pianta assorbe il nutrimento organico, ma per assimilarlo ha bisogno di trasformarlo in materiale inorganico: somministrando dunque dei fertilizzanti inorganici, risparmiamo alla pianta un processo che le costerebbe energia, energia che invece viene impiegata in un maggiore sviluppo e in una più veloce crescita.